La Regione Abruzzo si schiera contro il nuovo protocollo del Ministero della Salute sull’aborto farmacologico che autorizza la somministrazione della pillola Ru486 nei consultori pubblici. Ma perché continuare a mandare persone sane in ospedale, dove rischiano di ammalarsi? Molte donne possono prendere la pillola Ru486 in strutture territoriali, ambulatori, consultori, anche con il supporto della telemedicina. La resistenza a questo indirizzo è ideologica: come sempre si teme di dare troppa libertà alle donne. In questo modo l’unica cosa che si ottiene è scoraggiare una libera scelta o peggio, incoraggiare il ricorso all’aborto clandestino.
Noi diciamo fermamente NO ALLA DELEGITTIMAZIONE DEI CONSULTORI PUBBLICI nella loro importante azione di tutela della salute sessuale e riproduttiva.

La Regione Abruzzo si schiera contro il nuovo protocollo del Ministero della Salute sull’aborto farmacologico, che autorizza la somministrazione della pillola Ru486 nei consultori pubblici.
Sempre la Verì ha spiegato che nei consultori non sempre è presente la figura del medico e non c’è una perfetta integrazione con le sedi dipartimentali. Parallelamente, l’Assessora ha avviato un monitoraggio che “permetterà di avere un quadro puntuale dell’organizzazione dei nostri consultori rispetto alla tematica dell’interruzione farmacologica di gravidanza, fermo restando il ruolo irrinunciabile che queste strutture hanno da sempre nell’affiancare la donna in un momento così delicato della propria vita”
Questa scelta politica si allinea all’analogo indirizzo della Regione Marche, che ha sollevato molte polemiche e portato centinaia di cittadine e cittadini a scendere in piazza per manifestare contro decisioni considerate lesive della libertà di scelta di chi vuole interrompere una gravidanza.
Va sottolineato che quella della Regione Abruzzo è una decisione apertamente avversa alle linee guida ministeriali dello scorso agosto 2020, che autorizzano i consultori alla somministrazione della pillola Ru486, tenuto conto della raccomandazione formulata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità in ordine all’aborto farmacologico per la donna fino alla 9° settimana di gestazione, delle più aggiornate evidenze scientifiche sull'uso di tali farmaci, nonché del ricorso nella gran parte degli altri Paesi Europei al metodo farmacologico di interruzione della gravidanza in regime di day hospital o ambulatoriale.
Ma qual è la situazione sull’applicazione della Legge 194 in Abruzzo ?
Nella “Relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della Legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (Legge 194/78)” relativa ai dati del 2018 e pubblicata con estremo ritardo solo il 9 giugno 2020, si può leggere che in Abruzzo solo 9 strutture ospedaliere su 15 hanno un reparto di ginecologia che opera interruzione di gravidanza, mentre I consultori familiari sono 58 distribuiti sul territorio regionale anche in comuni medio-piccoli, e sono tutti di gestione pubblica. Le interruzioni di gravidanza sono effettuate nella stragrande maggioranza dei casi con raschiamento (27,5%) isterosuzione (4,8%) o metodo karman (56,3%), poco più dell’11% delle interruzioni è praticata farmacologicamente. Complicanze post ivg sono state rilevate solo in n.6 casi su 1000 interruzioni. Gli obiettori sono l’80% dei ginecologi, il 62,8% degli anestetisti e il 66% del personale non medico.
Poi è arrivata la pandemia. Il 2020 è stato un anno difficilissimo per le persone che hanno avuto bisogno di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza (ivg). La riorganizzazione del Sistema Sanitario per far fronte alla pandemia ha causato riduzione di orari di apertura dei consultori, trasferimento dei reparti ivg, in molti casi riduzione dell’ivg farmacologica o chirurgica a seconda delle necessità (per mancanza di posti letto o di anestetisti).
C’è da chiedersi perché la Regione Abruzzo sceglie proprio ora di dirottare le donne che devono abortire nelle sedi ospedaliere, in un momento di emergenza sanitaria in cui la parola d’ordine è sempre più la necessità di un rafforzamento della medicina territoriale.
Ma perché continuare a mandare persone sane in ospedale, dove rischiano di ammalarsi? Molte donne possono prendere la pillola Ru486 in strutture territoriali, ambulatori, consultori, anche con il supporto della telemedicina. La resistenza a questo indirizzo è ideologica: come sempre si teme di dare troppa libertà alle donne. In questo modo l’unica cosa che si ottiene è scoraggiare una libera scelta o peggio, incoraggiare il ricorso all’aborto clandestino.
Se la direzione sanitaria regionale ha motivi per considerare i consultori pubblici non adeguati per l’applicazione delle linee guida ministeriali che li autorizzano all’uso della pillola RU486, dovrebbe avviare con urgenza una decisa azione di rafforzamento di tali presidi sanitari territoriali, nell’interesse della salute di tuttə.

Intanto, mentre in Regione si prendono questo tipo di decisioni, che erodono la libera autodeterminazione delle donne nella legittima scelta di non portare a termine una gravidanza indesiderata, sul territorio pescarese da giorni imperversa l’ennesima campagna antiabortista promossa dal movimento per la vita, che, a giudicare dalla mole di mezzi impiegati, può contare su notevoli risorse finanziarie.
Qui siamo di fronte a un inaccettabile, violento attacco a un diritto civile legalmente sancito dalla L.184/78, per il quale si è tanto lottato e sul quale non è accettabile alcun passo indietro.
Noi diciamo fermamente NO alla delegittimazione dei consultori pubblici nella loro importante azione di tutela della salute sessuale e riproduttiva.
Alla Regione Abruzzo chiediamo :
> La de-ospedalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza attraverso il servizio di ivg farmacologica praticato in strutture territoriali, ambulatori, consultori;
> che sia applicata la raccomandazione ministeriale di estendere il limite di somministrazione della Ru486 alla 9° settimana di gravidanza;
> che l’azione dei consultori sia rafforzata con maggiori risorse economiche e dotazione di personale e con azioni mirate al miglioramento dell’integrazione ospedale-territorio;
> che sia adottato un sistema di monitoraggio post-ivg con il ricorso alla telemedicina, che consente l’assistenza di un medico a distanza, tramite videochiamata o telefono (pratica questa riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della sanità tra quelle utili per garantire i servizi sanitari essenziali) e che in un momento di emergenza sanitaria ha permesso, in paesi come Inghilterra, Galles, Scozia, Francia, Svezia e Danimarca, di allargare l’accesso al servizio, ridurre i tempi di attuazione ed evitare spostamenti durante la pandemia.
Garantire l’accesso sicuro e gratuito all’aborto vuol dire riconoscere il diritto alla maternità come scelta e non come destino biologico.
Linkografia :
Safe abortion: technical and policy guidance for health systems - World Health Organization 2012