"Credo che il mio cervello, sostanzialmente, sia lo stesso di quand'ero ventenne. Il mio modo di esercitare il pensiero non è cambiato negli anni. E non dipende certo da una mia particolarità, ma da quell'organo magnifico che è il cervello. Se lo coltivi funziona. Se lo lasci andare e lo metti in pensione si indebolisce. La sua plasticità è formidabile. Per questo bisogna continuare a pensare"
Rita Levi Montalcini

Le malattie neurodegenerative sono un gruppo di malattie che coinvolgono in prima linea i neuroni, elementi costitutivi del sistema nervoso. Le malattie neurodegenerative (tra cui le demenze di Alzheimer e di Parkinson) hanno un percorso progressivo a senso unico: non sono curabili e il decadimento da loro causato può essere solo rallentato, ma non arrestato o riportato indietro. Questo è dovuto al fatto che una delle caratteristiche principali dei neuroni è quella di non riprodursi, quindi una loro rapida compromissione e conseguente morte, porta irrimediabilmente ad un importante decadimento cognitivo.
Un cervello adulto contiene circa 100 miliardi di cellule nervose che si connettono tra loro scambiandosi informazioni, consentendo il compimento di diverse funzioni come quelle motorie (camminare, vestirsi, fare esercizio ecc…) o quelle cognitive (come ricordare o comunicare). Tuttavia, il numero di connessioni neuronali non è lo stesso per ogni individuo, in quanto dipendono non solo da fattori genetici, ma anche dagli stimoli che ogni persona riceve dall’ambiente circostante durante soprattutto nei primi 30 anni di vita. Ecco perché il cervello è da intendersi come un’unità per niente statica, in continua trasformazione, in grado di modificare il proprio organismo e le proprie funzionalità a seconda degli stimoli esterni ricevuti o in relazione ad eventuali lesioni traumatiche. È proprio questa idea di cervello plastico e non statico che va a descrivere il concetto di plasticità cerebrale: dobbiamo a questa funzione la capacità del cervello di riorganizzarsi addirittura dopo una lesione come un ictus o un tumore, in modo da adattarsi alla nuova condizione e tornare al funzionamento.
La plasticità cerebrale è tanto migliore, quanto più l’individuo è stimolato e allenato cognitivamente, il che non vuol dire far riferimento ai soli strumenti complessi e specifici. Soprattutto nella demenza, fare semplici esercizi di programmazione dei pasti o fare una passeggiata e osservare un ambiente ricco di stimoli può essere di grande aiuto.
Alcuni consigli utili per l’allenamento cognitivo dell’anziano con demenza sono:
- Coinvolgere la persona! Non è importante svolgere perfettamente il compito, ma che la persona si senta coinvolta in ciò che fa;
- Svolgere attività in un tempo breve! L’attenzione delle persone con demenza è limitata, quindi sono portate a stancarsi velocemente;
- Ogni sforzo dell’anziano di coinvolgersi nelle attività deve essere premiato! È inutile rimarcare eventuali errori;
In conclusione, è importante che i caregiver di persone con demenza tengano a mente che è possibile invecchiare mantenendo una propria autonomia e azioni semplici come l’attività fisica, il benessere psicologico e un’alimentazione corretta possono aiutare a rallentare il deterioramento cognitivo e a prolungare il più possibile una buona qualità di vita nonché la percezione di indipendenza.
Articolo a cura della Dott.ssa Ottavia Fasciano
Laureata in Psicologia Clinica e della Salute
ottaviafasciano@gmail.com
Fonti:
- https://www.neurodegenerationresearch.eu/it/che-cosa-sono-le-malattie-neurodegenerative/
- Moro, V., & Filippi, B. (2010). La plasticità cerebrale. Firenze: SEID.
- Fagherazzi, C., Zucchero, A., & Brugiolo, R. (2014). Il concetto di plasticità cerebrale e le sue potenziali applicazioni cliniche nell’anziano con demenza: focus. Indexed in Embase, Excerpta Medica Database and Scopus Elsevier Database, 62, 464-482.
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