«L’immagine di una persona,
dice di lei più di qualsiasi altro aspetto.»
(Cotrufo, 2005)

Nel mondo occidentale, a partire dagli anni ‘60, è andata diffondendosi sempre di più l’idea che bisogna raggiungere un certo modello di perfezione fisica se si vuole avere successo e se si vuole essere accettati o notati dagli altri. Avere un fisico statuario, che non persegua gli eccessi, è lo strumento necessario per fare fortuna!
Immagine di Egon Schiele
Questa estrema importanza attribuita erroneamente all’apparenza, ha portato alla diffusione, tramite i mass-media, del modello twiggy (ossia esile, sottile) di cui l’equazione “magro è bene, grasso è male” ne è diventato il manifesto.
Proprio questo messaggio sbagliato, associato ad altri fattori, può aver provocato e può provocare ancora oggi, in soggetti vulnerabili, la comparsa di disturbi psicopatologici noti come Disturbi del Comportamento Alimentare (o DCA). I più noti sono l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa e consistono in una serie di comportamenti persistenti e ossessivi, finalizzati al controllo dell’alimentazione o del peso corporeo, che danneggiano significativamente la salute fisica e il funzionamento psicologico del soggetto che li mette in atto. Tali disturbi hanno un origine multifattoriale: i fattori predisponenti (socio-culturali, familiari e/o individuali) possono indurre un certo grado di vulnerabilità nel soggetto il quale, influenzato da fattori scatenanti (ad esempio una dieta restrittiva o difficoltà psicologiche e/o ambientali), può manifestare un disturbo alimentare; quest’ultimo, trovando rinforzo positivo da parte dell’ambiente (fattore di mantenimento), tende a mantenersi nel tempo.
Un dato rilevante che emerge durante gli studi di casi clinici è che disturbi della condotta alimentare tendono maggiormente a comparire nell’adolescenza, problematica per antonomasia, durante la quale il ragazzo o la ragazza va incontro, con la sua vulnerabilità, a diversi cambiamenti, soprattutto fisici, per cui le ragazze tendono a prestare molta attenzione al loro aspetto e a fare di tutto per soddisfare il proprio ideale di magrezza. Un altro dato emerso riguarda la maggiore frequenza di comparsa dell’anoressia nelle ragazze piuttosto che nei ragazzi. Questi dati hanno per lungo tempo avvalorato l’opinione per cui la patologia fosse esclusivamente femminile, andando così a sottovalutare segnali di allarme da parte di soggetti del sesso opposto. Infatti, diversamente da quanto si è sempre creduto, l’anoressia colpisce sempre più il mondo maschile, facendo insorgere dubbi sulle modalità diagnostiche fin’ora utilizzate.
Sono diversi i motivi che nel tempo hanno portato a trascurare il problema. Primo fra tutti il fatto che uno dei criteri per la diagnosi di anoressia è l’amenorrea che, per ovvie ragioni, non è possibile utilizzare per una diagnosi al maschile. A ciò si aggiunge il fatto che il ragazzo, anche se non è preoccupato dell’aumento del peso come accade per le ragazze, tende comunque a fare molta attenzione alle kilocalorie da assumere durante i pasti e alle ore che dedica all’attività sportiva, al fine di ottenere una massa muscolare adeguata, sinonimo di potenza e mascolinità (in questi casi, il termine più corretto a descrivere l’anoressia maschile è vigoressia o anoressia inversa). Si aggiunge infine un terzo fattore ossia che i maschi tendono a giustificare le restrizioni alimentari come una prevenzione contro malattie mediche spesso già diagnosticate in familiari sovrappeso. Senza tralasciare poi i vissuti emotivi di depressione e vergogna a causa dei pregiudizi, che portano il soggetto a non chiedere aiuto.
Quindi, contrariamente a quanto si crede, l’anoressia nervosa è una condizione sempre più presente nel mondo maschile. Infatti, in uno studio italiano condotto da Munno Sterpone e Zunno nel 2005, è emerso che i casi di anoressia maschile raggiungevano circa il 10% di quelli totali; un dato più recente è quello fornito dal Ministero della Salute che nel 2016 ha segnalato la morte di circa 3.240 persone a causa della vigoressia, di cui una percentuale tra il 5 e il 10 % di questi pazienti era rappresentata da uomini.
Dunque, in virtù dell’emergenza sempre più evidente di aumento di casi di anoressia maschile, sarebbe utile innanzitutto realizzare numeri maggiori di studi che prendano come campione la popolazione maschile, e non solo quella femminile; eliminare i ritardi della diagnosi, intervenendo in maniera tempestiva, riconoscendo e collocando i sintomi nella giusta cornice diagnostica, al fine di prevenire la degenerazione della salute psicofisica del soggetto e aiutarlo a combattere la malattia. Sarebbe inoltre opportuno fare maggiore informazione circa tali patologie, in modo tale da eliminare le convenzioni comuni e diffondere il messaggio per cui non bisogna mai sottovalutare i sintomi di un paziente per via delle convenzioni sociali.
Per approfondire:
Munno D., Sterpone S.C., Zunno G. (2005), L’anoressia nervosa maschile. Una review. Giornale Italiano di Psicopatologia
Nocerino A. (2009), IL FENOMENO PRO-ANA: una nuova forma di anoressia nasce sul web.
https://www.adolescienza.it/disturbi-alimentari-e-alimentazione/anoressia-maschile-sintomi-e-correlati-psicologici/