Ci sono giorni in cui la solitudine è
un vino inebriante che ti ispira libertà,
altri in cui è un tonico amaro,
e altri ancora in cui è un veleno
che ti fa sbattere la testa contro il muro.
(Colette)

La completa mancanza di spazi e di privacy che ognuno di noi si trova costretto ad affrontare, a causa del lungo periodo di quarantena a cui siamo obbligati da ormai troppe settimane, mi ha spinta oggi a voler approfondire il tema della Solitudine.
Cos’è la solitudine? Perché ne abbiamo così tanto paura?
La solitudine è un fenomeno sociale considerato una piaga della nostra società, una condizione di vita inusuale ed inadeguata per l’uomo spesso associata ad emozioni negative come l’ansia da separazione, la tristezza e la paura e per questo motivo è percepita come una malattia, un nemico da fuggire a qualsiasi costo.
Questa visione negativa della solitudine nasce dal fatto che quando un essere umano si trova costretto a vivere isolato dagli altri per troppo tempo può, in determinati casi di pregressa fragilità, correre il rischio di sviluppare patologie, come il disturbo depressivo, che lo portano a perdere di vista ogni obiettivo della propria vita, facendolo chiudere sempre più in sé stesso fino a portarlo, nei casi più estremi, al suicidio.
Ma è davvero così o la solitudine può avere anche una qualche accezione positiva?
A mio avviso, la solitudine non deve essere vista per forza come una condizione negativa, essa può infatti essere una splendida opportunità di crescita e di benessere interiori, una condizione cercata anziché subita, soprattutto quando si sente di non avere nemmeno più un minuto da dedicare a sé stessi.
Nella condizione di emergenza che stiamo vivendo, uno dei problemi che ci troviamo ad affrontare è proprio la perdita totale dei nostri spazi e del tempo da dedicare a sé stessi.
Condizione che, a sua volta, sta generando all’interno dei nuclei familiari numerosi conflitti, spesso difficili da placare, soprattutto quando si vive in case affollate.
La quarantena ci costringe a stare chiusi in casa a stretto contatto, 24 ore su 24, con mogli, mariti, figli e nonni ognuno con i propri bisogni e le proprie paure, provocandoci un sovraccarico emotivo e mentale che ci rende sempre più stanchi, facilmente irritabili e più inclini a furiosi scatti d’ira nei confronti di chi ci è vicino.
A mio parere, il modo migliore per poter placare le ostilità e riconquistare la serenità perduta è quello di riuscire a fare in modo che ogni membro della famiglia, anche chi pensa di non averne bisogno, possa ritagliarsi i propri spazi e del tempo per sé.
Ognuno di noi, chi più e chi meno, dovrebbe avere l’opportunità di vivere un momento di solitudine per poter “svuotare” la mente, smettere di pensare a ciò che accadrà dopo o ai problemi che si dovranno affrontare, senza pensare a nulla di concreto e senza incombenze da svolgere per almeno 20-30 minuti al giorno così da poter recuperare l’equilibrio perduto ed entrare in contatto con quelle parti di sé a lungo inascoltate.
La solitudine come abbiamo visto è però un’arma a doppio taglio e per questo si deve fare molta attenzione affinché essa non diventi isolamento totale, in modo tale che il veleno possa diventare una preziosa medicina.
“La solitudine è come una lente d’ingrandimento:
se sei solo e stai bene stai benissimo,
se sei solo e stai male stai malissimo.”
(Giacomo Leopardi)
Bibliografia Essenziale:
Alibesti V., 2005, “La solitudine per riscoprire sé stessi”
Bianchi E. et al., 2012, “Solitudine: deserto o giardino?”
Dott.ssa Danila Negro
Laureata in Psicologia dei gruppi, delle comunità e delle organizzazioni
Email:danilanegro@live.it