Sensazione di soffocare, paura di avere un imminente infarto o timore di essere sul punto di impazzire: chi ha vissuto l’esperienza di questi momenti sa bene che essi portano un unico nome: attacchi di panico.
Il panico arriva all’improvviso, inaspettatamente, cogliendo di sorpresa la sua vittima senza darle tregua. Poi va via, e lascia dietro di sé questo senso di mistero che non fa altro che aumentare la tensione e la necessità di avere tutto sotto controllo, per poter essere pronti ad un eventuale ritorno. Ma non è così facile come sembra.

Nella letteratura molti filosofi, scrittori e di recente anche psicologi hanno fatto ricorso alla mitologia per cercare di dare un volto quanto più verosimile al panico; precisamente hanno riportato in vita il mito del dio Pan (da cui deriva appunto il termine panikòs che significa tutto, riferendosi a questa forma di paralisi che invade mente e corpo in modo incontrollabile).
Egli era una creatura dispettosa che viveva nei boschi e che si divertiva a terrorizzare le ninfe del posto comparendo all’improvviso. Ogni volta cambiava aspetto rendendosi in questo modo irriconoscibile, motivo per cui era difficile non lasciarsi sorprendere. Con la medesima velocità scompariva, lasciando dietro di sé un alone di inquietudine e di ansia per la paura che sarebbe ritornato, ma non si sapeva né come né quando.
Allo stesso modo compaiono gli attacchi di panico, ossia periodi di intensa paura o intenso disagio che raggiungono un picco nell’arco di pochi minuti, durante i quali si manifestano 4 o più sintomi. Questi ultimi si dividono in (DSM V):
- sintomi fisici come sudorazione, palpitazioni, tremori, sensazione di soffocamento (dispnea), nausea, vampate di calore o brividi di freddo e parestesie (sensazione di torpore o formicolio);
- sintomi cognitivi come sensazione di svenimento, derealizzazione o depersonalizzazione, paura di impazzire o di morire.
Solitamente accade però che nel linguaggio comune si tende a sottovalutare il problema riducendolo ad una semplice crisi d’ansia, ma così facendo si incorre molto spesso nell’errore di non preoccuparsi e non occuparsi adeguatamente del soggetto sofferente.
Quali sono i trigger?
Gli attacchi di panico possono essere non legati a specifiche situazioni o al contrario, possono essere dipendenti da particolari contesti come ad esempio luoghi affollati, luoghi chiusi o comunque particolari circostanze da cui diventa veramente difficile divincolarsi. Inoltre, essi possono essere incentivati anche da stimoli interni come ad esempio aumento del battito cardiaco o vertigini che vengono interpretati erroneamente, scatenando così inconsapevolmente una cascata di eventi da cui non si riesce ad emergere.
È importante capire quando si parla di panico che l’impatto emotivo del fenomeno sul soggetto colpito dipende appunto dalle caratteristiche intrinseche di quest’ultimo. In alcuni casi accade che il mistero degli attacchi di panico rende difficile parlarne con i parenti o con gli amici e ciò porta ad un’ulteriore chiusura e atteggiamento pessimista; in altre circostanze anche se la vittima riesce a parlarne, si verifica comunque e paradossalmente la medesima situazione poiché dall’esterno vi è difficoltà a comprendere paure apparentemente infondate. Questo è il motivo per cui si dovrebbe cercare di ascoltare di più piuttosto che avere la presunzione di minimizzare delle paure a cui non si riesce a trovare una ragione.
Cosa comportano gli attacchi di panico?
I soggetti che vengono colpiti dagli attacchi di panico possono incorrere in condotte di pensiero e di azione che non li aiutano a venire fuori da questo circolo di paura che si è innescato. In alcuni casi può accadere che la manifestazione degli attacchi di panico sia consequenziale ad un evento di stress insopportabile ma che tuttavia trova una giusta soluzione e quindi la sintomatologia panicogena si affievolisce fino a scomparire. Però la letteratura a riguardo ci dice che gli attacchi di panico e il disturbo di panico (DAP) tendono ad avere un decorso cronico con non pochi effetti collaterali. I vissuti scatenati dal panico inficiano gradualmente la serenità mentale e fisica della persona causando affaticamento, tensione nelle situazioni sociali, stanchezza fisica e mentale con un aumento dell’irritabilità e della paura in situazioni nuove o apparentemente eccedenti le capacità di gestione della persona stessa. In casi estremi, una delle conseguenze maggiormente correlate riguarda la possibilità che emerga come soluzione alternativa la messa in atto di comportamenti di dipendenza. Essi possono riguardare non solo lo sviluppo di un eccessivo utilizzo dei servizi legati alla sanità, ma anche l’abuso di sostanze (droghe o farmaci) che al momento sembrano risolvere il problema, ripristinando un apparente benessere psicofisico, ma che invece non fanno altro che insabbiare una problematica che alla prima tempesta non tarderà a venire fuori.
Come intervenire?
Sono tanti gli approcci che nel tempo hanno cercato una soluzione pratica per la risoluzione del disturbo, trovando ognuno di essi un punto di partenza teorico differente a cui ispirarsi: l’approccio farmacologico, ispirato alle teorie neurofisiologiche, propone la somministrazione degli SSR-I; l’approccio cognitivo-comportamentale mira a correggere le interpretazioni catastrofiche delle sensazioni corporee attivate inconsciamente dalla persona; l’approccio psicodinamico cerca di ridurre la vulnerabilità sottesa alla patologia, al fine di prevenire le ricadute nel tempo.
Penso sia inoltre opportuno sensibilizzare tramite forme di psico-educazione chi conosce poco la patologia (compresi quelli che la manifestano), in modo tale da consentire alla persona di superare l’ostacolo, abbattendo il muro del silenzio, e chiedendo aiuto a chi ha le giuste competenze.
Nessun problema, nessun disagio, nessun malessere viene risolto se gli si rema contro!
Bibliografia:
Arch J. & Craske M. G, Chapter 4 , Panic disorder. (2013). Psychopathology: History, diagnosis, and empirical foundations.
Cowley, D. S. (1992). Alcohol abuse, substance abuse, and panic disorder. The American journal of medicine, 92(1), S41-S48.
Dott.ssa Rosita Falce
Laureata in Psicologia Clinica e della Salute
rositafalce@gmail.com