Il fenomeno del bullismo è stato considerato uno dei meccanismi sociali più complessi e diffusi nella nostra società, oggetto di studi in numerosi Paesi del mondo a partire dagli anni ‘70 del 900 e causa ancora oggi di innumerevoli situazioni di sofferenza individuale, familiare e sociale.

Il termine utilizzato nella letteratura internazionale è bullying (varie forme di prepotenze attuate tra pari all’interno di un contesto di gruppo) ed è stato studiato per la prima volta in Norvegia da Dan Olweus, il quale ne ha dato una spiegazione sistematica a partire da tale definizione: “Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o di più compagni”. Tre sono le caratteristiche necessarie affinché si possa parlare di bullismo: intenzionalità dell’atto aggressivo, persistenza con cui viene perpetrato nel tempo e asimmetria tra il bullo e la vittima, che crea un netto vantaggio del primo sul secondo, impedendo a quest’ultimo di difendersi. I comportamenti attuati nei confronti dei più deboli consentono di classificare il bullismo in due tipologie: si parla di bullismo diretto quando il bullo ricorre ad aggressioni fisiche o verbali dirette (calci, pugni, furti, minacce, derisioni, calunnie ); al contrario, si parla di bullismo indiretto quando si fa ricorso a strategie psicologiche finalizzate soprattutto ad isolare la vittima dal resto del gruppo.
Ognuno di noi può essere vittima di bullismo. Ognuno di noi può essere visto come debole agli occhi del bullo perché considerato “strano”, perché lontano dagli stereotipi, perché non segue la moda o perché fa cose che vanno oltre le azioni consuetudinarie. Il bullismo viene esercitato spesso nei confronti di persone che appartengono a gruppi socialmente stigmatizzati: persone grasse, adolescenti con difficoltà a relazionarsi o semplicemente appartenenti a etnie diverse, o donne. I comportamenti di bullismo infatti non sono altro che lo specchio di una società sommersa dai pregiudizi: i neri puzzano, le donne sono stupide, gli omosessuali sono ripugnanti e così via. Tutto ciò che risulta scostante da ciò a cui siamo abituati a pensare, vedere o fare risulta diverso, strano, ridicolo o addirittura pericoloso. Ed è in questi casi che il bullo si fa avanti, facendo leva sulle differenze, e cercando l’appoggio dei suoi gregari.
Quante volte sarà capitato di ascoltare discorsi in cui “x” persona veniva derisa perché apparentemente omosessuale? Quante volte sarà capitato di incorrere in commenti omofobi sui social-network nei confronti di ragazzi o ragazze che decidono di fare coming-out o parlano senza alcun problema della loro omosessualità? Quante volte si ascoltano esclamazioni come “frocio”, “devi morire”, “fatti curare”?
Una modalità con cui il bullismo prende piede tra la popolazione giovane e adulta è infatti proprio quella del bullismo omofobico. In questa particolare circostanza, non poco frequente nei contesti scolastici o nei luoghi frequentati da ragazzi e ragazze, le vittime di bullismo sono adolescenti che si definiscono apertamente “gay” o “lesbiche”, adolescenti che sembrano omosessuali soltanto perché le ragazze portano i capelli corti o i ragazzi indossano abiti percepiti effeminati; anche avere qualcuno in famiglia che sia apertamente gay o lo lasci semplicemente pensare, diventa un pretesto per i bulli a commettere atti di violenza fisica o verbale nei confronti della vittima. Il problema di fondo nel nostro paese è che sin da piccoli riceviamo un’educazione etero-normativa per cui si cresce con l’idea che l’unica relazione possibile è quella che unisce due persone di sesso differente, un bambino può crescere sano soltanto se ha accanto a sé un padre e una madre, a prescindere dalla loro capacità di svolgere quel ruolo. Questa “legge dell’etero-normatività” è profondamente radicata nella società, motivo per cui per moltissimi anni è stato difficile per gli omosessuali “uscire allo scoperto”. Chi, a causa di terzi inaffidabili, veniva ufficializzato come omosessuale, non aveva vita facile. Ancora oggi molte persone con orientamento omosessuale subiscono discriminazioni che causano nelle vittime stesse isolamento sociale, difficoltà a trovare lavoro, impossibilità di avere gli stessi diritti degli altri. In alcuni casi c’è chi si dà forza e lotta, consapevole che la propria vita vale quanto quella di un individuo eterosessuale; c’è chi invece ha paura di perdere credibilità o di essere allontanato e quindi finge di essere chi non è; ancora, c’è la vittima più debole che invece non regge il carico della sofferenza, matura l’idea di essere sbagliato o malato, arrivando così a provare vergogna e odio verso di sé, fino ai casi di cronaca nera dove giovani arrivano a togliersi la vita perché vittime di continui atti discriminatori o di cyberbullismo.
Il bullismo è un fenomeno sociale prettamente adolescenziale, che trova libero sfogo negli ambienti scolastici e molto spesso viene sottaciuto non solo dalle vittime ma anche dagli insegnanti o dai genitori. “ Deve cavarsela da solo”, “sono cose tra ragazzi”, “è stata una ragazzata”, le più comuni risposte che le persone danno per giustificare quelli che invece si confermano veri e propri atti di bullismo. Il problema dunque deriva da un modo di vedere la realtà, definire le relazioni, percepire il proprio essere, sulla base di stereotipi che fungono da regolatore di pensieri e azioni. Tali schemi poi vengono applicati al mondo esterno e ciò comporta differenti visioni, da una persona all’altra, che non sempre rispecchiano l’effettiva realtà.
Sarebbe opportuno allora che già in un contesto famigliare si cercasse di evitare di inculcare pensieri pregiudizievoli o stereotipati, in virtù di una educazione improntata al rispetto dell’altro, trovando poi un opportuno supporto da parte di insegnanti che dovrebbero non sottovalutare ciò che apparentemente potrebbe esser una “ragazzata” tra compagni di banco ma, al contrario, avvalorarsi della potenza della parola per trasmettere messaggi educativi.
“Occorre, in altri termini, avere il coraggio di usare le parole in modo nuovo: non come proiettili da puntare contro qualcuno, ma come pennelli per una felice rappresentazione dell’essere” (Dario Accolla)
Per approfondire:
www.arcigay.it (2010) Report finale della ricerca nazionale sul bullismo omofobico nelle scuole superiori italiane
Dott.ssa Rosita Falce